Avvocato Anais Tonel

Il contratto ai tempi del Covid-19.

Recesso, risoluzione o rinegoziazione delle clausole contrattuali? Ogni soluzione va valutata con prudenza.

La diffusione del virus Covid-19 e il conseguente contraccolpo economico che si è venuto a creare per numerose categorie di attività produttive a causa delle misure di “lockdown”, hanno portato alla luce il problema della tenuta dei contratti di durata stipulati antecedentemente al verificarsi della pandemia. Il problema della contrazione di reddito degli operatori economici parrebbe, peraltro, destinato a protrarsi per un tempo lungo ed indefinito anche nella fase della riapertura delle attività, e ciò in ragione delle nuove modalità di lavoro e di vita che tutti noi saremo chiamati a rispettare al fine di adempiere alle norme di sicurezza anticontagio che ci vengono richieste.

Nella situazione venutasi a creare, appare del tutto comprensibile il bisogno di risposte degli operatori economici su quali possano essere le accortezze da adottare sul piano contrattuale per far fronte a probabili difficoltà nell’adempimento delle obbligazioni assunte. Il quadro normativo e giurisprudenziale, stante l’unicità dell’avvenimento che non trova immediati termini di paragone nella casistica precedente, non permette tuttavia di fornire risposte univoche e pienamente soddisfacenti. Quello che si ritiene di dover rivolgere al lettore, è quindi più che altro un monito di prudenza nella prospettazione di soluzioni certe e di scrupolosa attenzione alle peculiarità del caso concreto.

Decreti governativi e adempimento delle obbligazioni.

Con riferimento al problema dell’adempimento contrattuale, le misure governative prevedono che debba essere esclusa la responsabilità del debitore ex art. 1218 e 1223 c.c. qualora dovesse incorrere in decadenze, penali, ritardati o omessi adempimenti a causa del rispetto delle misure di contenimento del virus (art. 3 comma 6 bis D.L. 23 febbraio 2020 n. 6). La lettera della norma per il vero non introduce un automatico meccanismo di esclusione della responsabilità del debitore, ma afferma piuttosto che il rispetto delle norme del decreto “Cura Italia” da parte dell’esercente commerciale debba essere necessariamente un criterio di valutazione dell’inadempimento (o inesatto adempimento) dell’obbligazione da parte del giudice chiamato a decidere sulla sorte dei rapporti contrattuali controversi.

Peraltro, si deve considerare che non tutti i contratti di durata risulterebbero direttamente colpiti dalla chiusura delle attività commerciali, qualora si constatasse che la prestazione corrispettiva non avesse alcun collegamento con le limitazioni imposte dalle norme emergenziali. Si pensi ai contratti di locazione commerciale per i quali, salvo casi specifici (ad esempio contratti a canone variabile) non è previsto che si possa invocare la riduzione del fatturato per dedurre l’impossibilità di adempiere alla prestazione di pagamento del canone.

Va certamente ricordato per dovere di completezza che per determinati contratti settoriali, i decreti governativi hanno introdotto una disciplina maggiormente esaustiva (contratti di trasporto, di soggiorno, di acquisto di biglietti per eventi e musei,… per i quali si sia verificata l’impossibilità della prestazione in ragione delle restrizioni alla libertà di circolazione e delle chiusure delle attività). Si rimanda per i medesimi alla lettura del D.L. 9/2020 e dell’art. 88 del Decreto “Cura Italia”.

I rimedi generali offerti dall’ordinamento.

La congiuntura economica risultante dalla pandemia ha fatto emergere alcune caratteristiche proprie del nostro ordinamento civile di fronte alle situazioni di “forza maggiore”, evidenziando una tendenza alla non conservazione dei rapporti contrattuali in essere. Premesso che la situazione pandemica costituisce, in linea di principio, un “evento straordinario ed imprevedibile” in grado di alterare non solo l’equilibrio del singolo contratto ma di intere macroaree economiche e pertanto oggettivamente non rientrante nella “normale alea del contratto”, i rimedi esperibili offerti dal codice civile sono perlopiù di natura caducatoria: la risoluzione per impossibilità sopravvenuta (1256 c.c., 1463 c.c.) o per eccessiva onerosità sopravvenuta (1467 c.c.) a seconda della natura della prestazione dedotta. A questi rimedi può essere aggiunto, per i soli contratti di locazione, l’art. 27 ultimo comma della L. 392/1978 che permette di recedere dal contratto per “gravi motivi”.

L’impossibilità sopravvenuta della prestazione viene in rilievo quando la prestazione dedotta nel contratto sia divenuta materialmente impossibile (ad esempio perimento della cosa) o giuridicamente impossibile (ad esempio nuova normativa che vieta la produzione o la commercializzazione di un bene) per una causa non imputabile al debitore. In questo caso l’impossibilità della prestazione estingue l’obbligazione, pertanto la parte liberata dalla prestazione non potrà esigerne l’adempimento, mentre quella che ha già beneficiato della prestazione dovrà restituirla (troveranno applicazione le norme sulla ripetizione dell’indebito). Se la prestazione è solo temporaneamente impossibile e fintantoché essa perdura, non potrà essere contestata la responsabilità da ritardato adempimento. Il perdurare dell’impossibilità oltre un certo termine potrà tuttavia portare alla risoluzione del contratto, in quanto non più corrispondente all’interesse delle parti.

L’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, viene in rilievo nel caso di contratti di lunga durata. Per potere determinare, ai sensi dell’art. 1467 c.c., la risoluzione del contratto devono sussistere di due necessari requisiti: da un lato, un intervenuto squilibrio tra le prestazioni, non previsto al momento della conclusione del contratto, dall’altro, la riconducibilità della eccessiva onerosità sopravvenuta ad eventi straordinari ed imprevedibili, che non rientrano nell’ambito della normale alea contrattuale. In ragione delle caratteristiche proprie dell’istituto, esso non trova applicazione nel caso di contratti aleatori.

E’ tuttavia innegabile che in relazione ai menzionati istituti il soggetto competente a valutare in ultima istanza l’effettività della condizione di impossibilità della prestazione, di eccessiva onerosità sopravvenuta o il grave motivo, rimane pur sempre il giudice, quale garante dell’oggettivo equilibrio del negozio. Infatti, se il rimedio solutorio prospettato dal debitore non dovesse incontrare il favore del creditore – come solitamente accade in questi casi – non vi è la possibilità di sospendere autonomamente la propria prestazione, ma si renderà necessario intraprendere la via giudiziale, con conseguente protrarsi dell’obbligazione fino alla pronuncia costitutiva di scioglimento del contratto.

Peraltro, la situazione economica determinata dal “lockdown” si presenta complessa in considerazione del fatto che non tutti gli operatori economici hanno subito (e subiranno) le medesime restrizioni dai provvedimenti governativi e per il medesimo tempo. Accanto alle attività totalmente bloccate dai decreti anticontagio, ve ne sono altre che hanno potuto proseguire, almeno in parte, il proprio lavoro. Alcune attività economiche, che per caratteristiche intrinseche hanno potuto riorganizzarsi o traslare il proprio mercato di riferimento nel mondo digitale, sono riuscite a mantenere intatto il fatturato. Altre realtà hanno subito delle limitazioni tali da rendere soltanto parzialmente impossibile l’adempimento delle proprie prestazioni.

In simili circostanze verrebbe meno la situazione di totale impossibilità della prestazione presupposto della domanda di risoluzione contrattuale, con possibilità di ricorrere – se ne ricorrono i presupposti – ad istituti volti alla conservazione e al riequilibrio del rapporto contrattuale. Ci si riferisce alla possibilità della riduzione della controprestazione nel caso di contratti corrispettivi, se una parte invoca la parziale impossibilità della prestazione, ferma restando la possibilità dell’altra parte di domandare il recesso se il contratto non dovesse più oggettivamente corrispondere al suo interesse (1464 c.c.). O ancora la possibilità di sospendere la prestazione ex art. 1460 c.c. fintantoché anche l’altra parte non adempia alla propria.

Anche nel caso dell’eccessiva onerosità sopravvenuta è previsto un meccanismo di recupero del contratto, poiché la parte che riceve la domanda di risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni contrattuali. Tuttavia si deve sottolineare che non si tratta di un obbligo, ma di una mera facoltà esercitabile a discrezione della parte che subisce gli effetti della risoluzione, che potrà pertanto preferire la risoluzione del contratto e l’accertamento di eventuali responsabilità del debitore.

Infine, non può essere trascurata anche la variabile del momento dell’adempimento dell’obbligazione (ad es. nei contratti a prestazione differita), il quale potrebbe non cadere sotto la vigenza delle norme restrittive ma in un periodo successivo. In tale caso non sarebbe chiaramente possibile predeterminare l’effettiva impossibilità della prestazione futura, non essendo noto l’andamento epidemiologico del nuovo Covid-19 e nemmeno il comportamento di ripresa economica derivante da un blocco di tale tipo. Non sarebbe pertanto possibile invocare un’impossibilità di adempimento dell’obbligazione che logicamente non si è ancora potuta produrre non essendo scaduti i termini contrattualmente pattuiti per l’esecuzione delle prestazioni.

Per tutte queste ragioni, non pare superfluo affermare che prima di invocare i sopracitati rimedi offerti dall’ordinamento, si debba procedere ad un attento scrutinio delle condizioni economiche, materiali e contrattuali che connotano il caso concreto, poiché non appare per nulla scontato che di essi si possa fare automatica ed uniforme applicazione a fronte delle variegate tipologie contrattuali esistenti e delle differenti situazioni di inadempimento possibili.

Autonomia contrattuale, rinegoziazione del contratto e principio di buona fede.

Da quanto considerato, emerge che non sono previste a livello ordinamentale norme specifiche che impongano alle parti obblighi di rinegoziazione delle clausole contrattuali in ragione di situazioni sopravvenute e non prevedibili. Questo perché l’ordinamento, sempre in ottica garantistica, non tollera che sul contenuto delle prestazioni relative a rapporti contrattuali già in essere possano incidere cause imprevedibili, in grado di costringere una parte ad accettare condizioni contrattuali che, probabilmente, non avrebbe accettato in situazioni di normalità. Sicché in simili circostanze – e in mancanza di accordo tra le parti – si ritiene preferibile il travolgimento dell’intero rapporto piuttosto che la permanenza in vita di un contratto con forti squilibri negoziali.

Simili meccanismi rimodulatori potrebbero tuttavia rivelarsi utili a salvaguardare la continuità di certi rapporti contrattuali, considerando il variegato panorama di relazioni economiche esistenti, ciascuna delle quali con le proprie peculiari esigenze da soddisfare. Non per niente, a livello di rapporti commerciali internazionali – per i quali gli eventi di natura straordinaria quali guerre, cataclismi, carestie ,… si producono con maggiore frequenza – sono noti numerosi strumenti volti a recuperare il rapporto in caso di avvenimenti estranei alla normale alea negoziale (si pensi alle cd. clausole di hardship).

In tali casi il principio di autonomia delle parti e di conservazione dei rapporti contrattuali permette, se nell’interesse di entrambi i contraenti, di raggiungere un accordo di rinegoziazione di alcune clausole contrattuali per ristabilire l’equilibrio delle prestazioni e salvaguardare l’interesse negoziale delle parti. Un simile accordo potrebbe peraltro avere effetti anche solo temporanei, se così pattuito dalle parti, con il vantaggio di poter utilizzare un simile strumento per adeguare i contratti continuativi alla mutevole situazione emergenziale, fino al ritorno alle condizioni di normalità.

Va rammentato che la fase emergenziale in corso non permette alle parti di sospendere i comuni principi che regolano il contratto, in primis il principio di buona fede oggettiva nell’esecuzione del contratto e nella fase delle trattative. In questo senso sia il locatore che il conduttore dovranno attenersi, nelle reciproche pretese, a quanto realmente necessario per far fronte alle difficoltà emerse dalla situazione emergenziale, e fare attenzione a non avanzare richieste ingiustificate o sproporzionate rispetto all’entità del danno economico patito pena la responsabilità civile per il comportamento scorretto. In tal senso ciascuna parte non potrà astenersi dal rappresentare all’altra di aver beneficiato di eventuali agevolazioni e/o misure di sostegno alle imprese che possano aver limitato o azzerato la situazione di crisi economica.

Per i medesimi motivi, si deve rammentare che il contraente che può vantare una posizione di superiorità non sarebbe in ogni caso legittimato ad imporre clausole eccessivamente onerose per la controparte, approfittando della sua ridotta capacità di contrattazione, fino a giungere al completo stravolgimento del rapporto contrattuale originario. Pertanto, deve essere censurato per violazione della buona fede il comportamento del contraente “forte” che, consapevole dell’impossibilità per la controparte di poter concludere in tempi utili un contratto con un partner commerciale alternativo, imponga la conclusione di un contratto economicamente svantaggioso, minacciando l’imminente comportamento di inadempimento e la risoluzione del contratto. Del pari, in circostanze simili non può escludersi nemmeno l’applicazione del rimedio della rescissione del nuovo contratto rinegoziato concluso dal contraente in stato di bisogno, qualora ricorressero i presupposti richiesti dall’art. 1448 c.c.

In conclusione.

La molteplicità dei contenuti contrattuali, la differente portata delle restrizioni sulle attività e l’assenza di solidi precedenti giurispdudenziali impediscono di poter fornire una interpretazione univoca delle norme sulla risoluzione contrattuale e sulla sorte dei contratti in generale.

Allo stato dei fatti non è quindi possibile fornire delle soluzioni certe ma solamente probabili, sulle quali possono incidere notevolmente le variabili del contesto economico di riferimento e del contenuto specifico del contratto. E’ quindi indispensabile che ogni opportunità venga scrupolosamente vagliata alla luce delle caratteristiche del caso concreto, al fine di non incorrere in future responsabilità per inadempimento contrattuale.

Si rivela peraltro fondamentale ora più che in passato, il rispetto da parte degli operatori economici dei comuni principi di correttezza e buona fede contrattuale, che certamente si rivelano utili per evitare l’insorgenza di future cause legali. In questo frangente si inserisce anche l’importanza di sollecitare il ricorso alla procedura di mediazione quale strumento utile a comporre in tempi brevi le controversie relative alle rotture negoziali e a decongestionare i Tribunali.

 Anais Tonel – avvocato

“Mi vedo filare attraverso il cielo come una stella a lasciare la terra per sempre. Cosa mi trattiene? È il contratto per il quale soltanto sono qui. Il contratto è questo corpo che mi tiene qui”.

William Burroughs.